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  • chiarapesentiagost

Finché son qui.

Marino, chissà perché l’hanno chiamato così, lui che ha trascorso tutta la vita nell’abbraccio ruvido delle montagne, e il mare l’ha visto di sfuggita, quando era già un uomo.

Accanto alla rete del suo orto è nato un fiore viola, a pannocchia, con tanti petali sfrangiati intorno che sembrano piume di struzzo, e le foglie a stella. Lo ha legato con lo spago

perché non glielo rubino, mi dice, ma sotto si può tagliare e sfilare facilmente, penso, e mi viene in mente la rosa del Piccolo Principe con la sua inutile campana di vetro, e lui stesso, che ne parla come se quel fiore fosse davvero prezioso, somiglia un po’ al Piccolo Principe.

La moglie è morta sei mesi fa, stava bene e in tre giorni è andata, dopo 72 anni insieme, qualche giorno dopo il suo compleanno, aveva sei mesi più di lui. Una sera l’hanno portata in ospedale e non l’ha vista più. Ne parla malvolentieri, perché quando lo fa si commuove. Gli occhi si arrossano, a un certo punto piange. Gli chiedo dei suoi figli, dove sono, cosa fanno. Un figlio vive in Francia, arriverà tra poco, per il suo compleanno. Ha anche dei nipoti e dei pronipoti.

Gli chiedo che lavoro facesse prima di andare in pensione. Ha lavorato solo tre mesi in miniera, poi ha sempre fatto il falegname, con suo padre prima, poi da solo. Costruiva pali di legno per le gallerie, che lui chiama “stregoni”. Una volta le cataste di legno arrivavano fino a dove adesso c’è la scuola, mi indica con la mano l’edificio basso cento metri più in là. Prima del 52 la scuola non c’era, dice.

Chissà quanta gente c’era qui intorno, allora, gli dico, quante persone lavoravano qui alla miniera.

Socchiude un po’ gli occhi, mentre parla.

In miniera c’erano i primi aspirapolvere, nel 1939, per aspirare le polveri e prevenire i tumori e la silicosi, ma gli operai, per fare in fretta, invece di lavare i sacchetti all’esterno, li svuotavano dentro le gallerie, liberando la polvere intorno. Anche per questo tanti morivano giovani, dopo una decina d’anni di lavoro. Arrivavano che erano dei pezzi d’uomini e ne uscivano ridotti da far paura, poi morivano. Il padre di Mario è arrivato qui che aveva vent’anni, a trenta era già morto.

Guardo oltre la rete che ci divide. Gli faccio i complimenti: ha un orto che cura da solo, con patate, zucchine, tantissima insalata, prezzemolo, una pianta di salvia che quando l’ha piantata era moribonda e adesso gli arriva alla vita, piena di fiori violetti. Pomodori pochi, e piccoli. Qui vengono solo se settembre è abbastanza caldo. Siamo a 1100 metri, fa fresco anche d’estate, la sera si dorme con la coperta sul letto. Quando piove per qualche giorno di fila si accende la stufa anche a luglio. Intorno all’orto ha le rose, e cespi di margherite enormi, che deve legare, perché il vento di questi giorni, mi dice, le ha fatte piegare tutte da un lato.

Parla con una mano appoggiata al cancelletto, dritto in piedi, con gli occhi attenti e il sorriso parco. Che giorno è oggi? Mi chiede. Il 20, dico. Allora fra nove giorni è il mio compleanno. Sono 92, se ci arrivo. Sta bene, gli dico, perché no?

Alza gli occhi al cielo, è pronto, ad andare o a restare ancora un po’, è indifferente. Non gli dispiace vivere, non attende la morte come una liberazione, ma se l’aspetta da un momento all’altro. Del resto, da quando lo conosco, qualche volta lo vedo girare con il suo zainetto dell’ossigeno, una cannula nel naso, il passo sicuro e diritto, mentre va a buttare la spazzatura nelle campane della raccolta differenziata. La prima volta che l’ho incontrato eravamo proprio lì, adesso che ci penso. Buongiorno, gli ho detto. Lui ha girato su di me lo sguardo e mi ha salutato a sua volta. Ci conosciamo? Mi ha risposto, ma non con diffidenza, con curiosità, piuttosto, come se temesse di non ricordarsi. Siamo nuovi di qui, stiamo nella casa vicino alla miniera. Si sta bene qui. L’aria è buona.

Non dice niente, sorride solo con gli occhi. Lo rivedo dopo qualche giorno.

-Buondì, come sta?

-Sono qui, per il momento.

-La trovo bene, buon compleanno! Senta, mi racconta la sua storia?

-Non c’è molto da dire.

-La ascolto.

-Finché son qui.


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