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chiarapesentiagost

Piazze.


“Ore 17. 15, piazza della Repubblica, con una sciarpa rossa intorno al collo.” Lo strano messaggio, inoltrato da un mittente sconosciuto, lampeggiava sul display del cellulare di Cheddonna, che si stava ancora chiedendo cosa significassero esattamente quelle parole, allorché la Fulvia suonò il campanello dell’appartamento dell’amica di sempre, spingendo un passeggino con a bordo il “Che”.

“Ma allora, non sei ancora pronta? Dobbiamo andare a vedere il falò della festa di fine inverno, ti sei dimenticata?”

“Ah, sì…inizia alle sei, vero? Prima devo sbrigare una commissione, cominciate ad andare, poi vi raggiungo”, mentì Cheddonna, che si vergognava un po’ di quello che stava per fare.

Liquidata alla svelta l’amica, Cheddonna si preparò per uscire, non dimenticando di portare con sé una sciarpa del colore richiesto, anche se avrebbe preferito fosse ottanio, o turchese o melanzana, o almeno magenta, i colori più trendy dell’inverno. Erano già passate le 17 e piazza della Repubblica distava circa un chilometro da casa sua, perciò Cheddonna affrettò il passo. Per nulla al mondo si sarebbe persa quel momento.

La piazza era affollata, come sempre a quell’ora, ma nulla lasciava presagire che qualcosa di insolito stesse per accadere. Quando l’orologio batté il quarto successe una cosa incredibile: all’improvviso decine di persone estrassero dalle tasche, dalle borse, da sotto i cappotti una sciarpa rossa, e se la legarono al collo, interrompendo per un minuto qualunque cosa stessero facendo.

“Guarda, Giulia! Un flash mob!” commentò una ragazzina passando davanti a Cheddonna, che stava ferma con la sua sciarpa rossa, guardando un punto imprecisato davanti a sé.

“Forte!” rispose la sua amica, passando oltre.

Allo scadere del minuto, come per magia, i partecipanti a quel raduno estemporaneo, organizzato in poche ore via web, si tolsero le sciarpe e se ne andarono da dove erano venuti, come se niente fosse.

Cheddonna non aveva mai visto nulla di simile in vita sua. Dov’erano finiti tutti? Un istante prima erano lì, una moltitudine unita da una sciarpa rossa, e adesso la piazza era di nuovo piena di volti sconosciuti e anonimi…

Cheddonna guardò l’orologio. Forse ce la faceva ancora a raggiungere la Fulvia in

piazza del mercato…

Erano le sei in punto quando giunse, un po’ trafelata, accanto alla catasta di legna sulla quale era issato il fantoccio che rappresentava l’inverno.

“Per fortuna è appena cominciato!” disse tra sé e sé, cercando tra la folla accalcata la Fulvia e il Che.

Alla fine, riuscì a individuarli e a raggiungerli. “Finalmente!” bisbigliò la Fulvia “Stavi per perderti lo spettacolo!”

Le fiamme, appena appiccate, cominciavano a lambire la catasta, avvolgendola piano piano con una spirale incandescente. Le scintille sprizzavano nell’aria ormai scura e freddissima, scaldando i visi degli spettatori fino quasi a bruciarli. Le fiamme si specchiavano nelle vetrate di una casa, creando l’illusione di un incendio secondario. Il fantoccio, issato sulla cima, ondeggiava, come percosso da un vento caldo e faceva pensare ad altri roghi di piazza, a raduni meno festosi.

La gente guardava rapita lo spettacolo straordinario di quel semplice fuoco, maestoso e mutevole e lo commentava con il vicino occasionale, con quella confidenza che nasce spontanea quando ci si trova a guardare insieme qualcosa di bello.

Cheddonna, in quell’istante, non avrebbe voluto essere in nessun altro luogo al mondo.



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