Quando Cheddonna, assidua spettatrice di “vendo casa disperatamente” e convinta collezionista di riviste di arredamento, aveva deciso che era giunto il momento di ristrutturare il bagno di servizio del suo appartamento, non aveva previsto tutto quello che ne sarebbe scaturito. Una mattina di settembre aveva telefonato al suo amico d’infanzia Dante Elia Archi, che nel frattempo era diventato architetto e si faceva chiamare Archidelia, e gli aveva spiegato il suo progetto, sottolineando la sua impazienza di iniziare i lavori al più presto. “Cheddonna carissima- le aveva spiegato lui soavemente – per questo tipo di lavoro è necessaria la Dia, l’autorizzazione di inizio lavori da inoltrare al comune. Dopo trenta giorni, se non ci saranno contestazioni, potremo dichiarare aperto il cantiere”. A Cheddonna la parola “cantiere” provocava una forma acuta di orticaria, ma desiderosa com’era di veder realizzato il suo nuovo bagno in stile minimalista, era disposta a tollerare, con stoica rassegnazione, che per almassimoduegiornilavorativi la polvere e le macerie della demolizione invadessero il suo mondo, sconvolgendolo. Dopo una lunga serie di appuntamenti e telefonate con Archidelia, per decidere colori, materiali, finiture, e finanche la disposizione dei sanitari, il progetto era stato presentato e, allo scadere dei trenta giorni, tutto era ormai pronto. “Lunedì cominciano i lavori” le aveva annunciato trionfalmente Archidelia,"Olaf e la sua squadra saranno da te verso le otto”. Già dalle sette Cheddonna aveva cominciato a impacchettare mobili e oggetti per preservarli dalla polvere, occultando perfino lo zaino scolastico di IlP
rincipe, che vagava per casa alla sua disperata ricerca. Alle otto e un quarto non era ancora arrivato nessuno. Alle otto e trenta neppure. Alle nove neanche. Alle nove e trenta suonate finalmente squillò il campanello. “Terzo piano”rispose Cheddonna, un po’ alterata per il forte ritardo. L’inizio non era certo dei migliori. Quando aprì la porta, non si trovò davanti il macho in canottiera e bicipiti esagerati che nell’immaginario femminile identifica il muratore tipico, ma un ometto di mezza età, stempiato e con gli occhiali spessi, seguito da due ragazzotti un po’ più alti e apparentemente stranieri. “Buongiorno, signò!” disse, entrando in casa con l’immancabile sigaretta all’angolo della bocca “dov’è il bagno?” “La prego, signor Olaf, qui in casa è vietato fumare” disse Cheddonna, guardando con orrore la lunga serie di impronte che i tre uomini stavano nel frattempo lasciando sul suo pavimento di marmo. “Come vuole, signò” e, in men che non si dica, gettò la cicca per terra, spegnendola accuratamente col piede. Cheddonna cominciava a domandarsi se, dopo quei lavori in corso, sarebbe stata mai più la stessa.
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