A settembre la Fulvia, l’amica del cuore di Cheddonna, aveva cominciato l’inserimento del piccolo Ernesto, detto “Che”, al nido comunale. Ad attenderla sulla soglia, il primo giorno, aveva trovato la bionda e truccatissima direttrice, Marisa, che l’aveva condotta a visitare i vari ambienti dedicati ai piccoli ospiti. “Questa è la stanza dei lattanti, dove accogliamo i bimbi fino ai diciotto mesi: qui c’è l’angolo morbido, le costruzioni e il cestino delle sorprese; laggiù c’è la stanza dei più grandicelli, con l’armadio dei travestimenti, la cucina e l’asse da stiro e, infine…le presento la maestra che si occuperà di suo figlio: Pieronzaaa! Puoi venire un attimo?” cinguettò la direttrice. “Siiii?” grugnì una voce cavernosa, che apparteneva alla donna che stava uscendo in quel momento dallo spogliatoio delle maestre, facendo sobbalzare la Fulvia. Il naso, che la precedeva di un buon palmo, era rivolto all’insù, e formava una perfetta diagonale con il sedere, basso ed enorme, come il resto della figura, simile ad un grosso parallelepipedo di rosso vestito. “Buongiorno” abbaiò .
“Cominciamo l’inserimento. Lei deve uscire e aspettare fuori. Se piange non si preoccupi, ci penso io” e sparì con il Che in braccio, non lasciando alla Fulvia nemmeno il tempo di replicare. “Stia tranquilla, è in buone mani!” intervenne Marisa, che doveva aver notato lo sguardo incredulo della Fulvia. “Si sieda pure qui ad aspettare, vedrà che due ore passano in fretta!” e la bionda direttrice si allontanò canterellando, lasciandola sola con i suoi pensieri, che non erano mai stati così neri.
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