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  • chiarapesentiagost

Don Travet.


Era stato il segretario personale di Sua Eccellenza, Loziovescovo, quando era soltanto un giovane pretino la cui esperienza del mondo era inversamente proporzionale alla voglia di cambiarlo. Pacificamente, si intende. Poi, col passare degli anni, i viaggi e gli studi lo avevano portato a conoscerlo davvero, quel mondo, e a concludere che non sarebbe stato lui l’artefice del suo cambiamento.

E probabilmente nessun altro. Così era approdato, allo scoccare dei cinquant’anni, in una parrocchia di una città del nord Italia, che contava più di seimila persone, sebbene le anime fossero probabilmente molte meno. Un quartiere di media grandezza, abitato da gente della classe media, con vite e problemi medi. L’ideale per chi, come lui, era giunto alla conclusione che gli estremi non portano a nulla, e che, dopotutto, i latini avevano ragione nel dire che "in medio stat virtus". Gli piaceva soprattutto sapere che in quel luogo a metà strada tra il bene e il male non avrebbe mai più dovuto lottare, indignarsi, realizzare dei progetti; vivere sarebbe bastato. Qualche messa alla domenica, tutt’al più un battesimo, un matrimonio o un funerale, di tanto in tanto. Cose così. Aveva anche stabilito degli orari per le confessioni e per il ricevimento dei fedeli, ma tanto non veniva quasi mai nessuno. Solo una volta, ad un’ora insolita, gli aveva suonato il campanello un ragazzo, “Don Travet, ho bisogno di parlarle!” aveva detto, ma l’orario di ricevimento era finito da un pezzo e lo aveva invitato a presentarsi l’indomani, dalle 14 alle 16. Non era più tornato. Certo non era niente di importante. Di tempo gliene restava tanto, ed egli lo impiegava per approfondire l’esegesi dei testi sacri e citarli poi nelle omelie, pratica in cui eccelleva sicuramente. Peccato che, ad ascoltarlo, ci fossero sempre le stesse facce che aveva trovato al suo arrivo, e forse qualcuna in meno… Una volta, quando era molto più giovane, qualcuno gli aveva chiesto come avesse fatto ad accorgersi di avere la vocazione, ma allora lui aveva eluso la domanda per pudore, per timidezza… e

ora, guardandosi allo specchio, si accorgeva di non sapere più la risposta.


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